Le Parole Che Non Ho Mai Detto

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Foto di Valentina Mattogno

Scrivere è la mia croce.

Mi rende libera, mi rende vera, mi fa stare bene.

Ma allo stesso tempo mi distrugge da dentro, mi fa vedere il marciume che mi rende umana e mi indebolisce prima di farmi crescere.

Nelle mie parole c’è tanta verità quanta paura.

Paura di dimostrarmi per ciò che sono, una ragazza che ha paura del buio, che non ha mai giocato a strega di mezzanotte.

Una persona come te, sono piccola e fragile anche se voglio sembrare una dura del cazzo, ma ho finalmente deciso di togliermi tutte le maschere, perché mentre sto scrivendo la mia mano sulla tastiera scorre fluida e la mia mente sta elaborando talmente tanti pensieri che mi sento una fottutissima donna alpha e voi che leggete siete solo delle persone qualunque.

Ma ora sto andando a capo e mi sento persa, perché devo iniziare a parlare di qualcos’altro, e mi rendo conto di come nelle righe precedenti sono passata dall’essere umile a prepotente.

Eccomi, questa sono io.

E forse siete anche voi, non so. Odio questa situazione, ma allo stesso tempo mi piace.

Sarà che sto scrivendo a 00.54, e sta notte ho dormito quattro ore e sono stata indaffarata tutto il giorno, e per questo sono stanca morta e parlo a vanvera, perdonatemi, non siete obbligati a leggere.

Ho detto che potete non farlo.

Okay, non fatelo.

Perfetto, ora è colpa vostra.

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Foto di Valentina Mattogno

 

*GIORNO SENZA DATA POICHÉ SITUAZIONE ABITUALE*

 

Dopo essermi sparata un caffe in endovena per il troppo sonno, ho iniziato a buttar giù qualche riga mentre parlavo al telefono: tutto nella norma.

Ora velocizziamo i tempi: Scrivo, mi fanno un complimento per motivo “x”, infastidita riaggancio mentre smanetto sulla tastiera da incazzata, rileggo, rabbrividisco, mi rendo conto di quanto io sia succube della situazione tanto da contaminare il mio scritto, elimino.

Cambiamo leggermente la situazione.

Scrivo, mi fanno notare un mio difetto nel contesto “x”, infastidita riaggancio mentre smanetto sulla tastiera da incazzata, rileggo, rabbrividisco, mi rendo conto di quanto io sia succube della situazione tanto da contaminare il mio scritto, elimino.

Incontentabile.

Maddalena Rosati, edizione (non proprio) tascabile di una testarda-saccente-permalosa, per l’uomo che non può avere ragione mai (stereotipo di una classica pubblicità vista nei film: inserito).

Eppure la gente continua a volermi bene, e a me va bene così.

Alla fin fine ho anche dei pregi, no? Si spera, si.

Eppure quando scrivo non me li faccio tutti questi problemi, è il dopo che mi spaventa.

Così come la vita.

Spero che questo discorso no-sense abbia un senso (mi sono scordata di dire che sono incoerente).

Non mi preoccupo mai a dire cosa penso di una data cosa, e sono molto diretta con le persone, anche se a volte capisco che possa infastidirle, soprattutto quando la mia sincerità viene buttata lì come un product placement nei film a basso costo di produzione.

X:” Come sono vestita?”

Io:” Male”

X:” Vaffanculo”

E magari un giorno gli amici di una vita mi rinfacceranno la mia sfacciataggine, e dovrò assumermi le mie conseguenze: scrivere mi ha aiutata a capire anche questo.

Quando sono triste scrivo un sacco, e nel corso del tempo ho capito che più scrivo cose tristi più comprendo di più il problema di fondo e, cazzo, funziona!

Non giudicatemi per il mio modo di risolvere le situazioni, perché mi sto aprendo con voi, cari lettori vari.

Comunque, il punto finale è che sono entusiasta della mia vita, questo come contorno di ciò che è stato detto fino ad ora, ovvero parole a vanvera dettate del cuore e del sonno impetuoso.

Spero che tu, lettore, mi capirai, quando ti dirò che essere immaturi tante volte è la cosa più bella del mondo: perché mio padre mi disse che la serietà rende un uomo diffidente e poco raccomandabile, quindi ogni tanto c’è bisogno di fare cose folli, di scrivere senza un filo logico per levare lo stress e per sentirti libero.

Quindi ora sorridi, e sappi che non sei l’unico che ogni tanto mette le canzoni al massimo e canta e balla da solo, che non sei solo tu a fare monologhi ad alta voce la sera per decidere il da farsi il giorno dopo, che anche io ho messo calzini di colori diversi e sono uscita in tuta il sabato sera.

La scrittura è la mia condanna, e la via verso il paradiso.

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Foto di Valentina Mattogno

Instagram Valentina Mattogno: @vale.hemmings

Instagram Maddalena Rosati: @miss.stoh

La Religione Nascosta

So che almeno una delle, mettiamo caso, cinquanta persone che leggeranno, crede che professare una religione in modo aperto sia strano.

Non vorrò fare lezioni di teologia senza saperne niente, il mio obbiettivo è quello di passare un messaggio positivo, che può essere accettato, denigrato, sgradito, tralasciato e persino ignorato, ma la cosa più bella è che non mi arrabbierò, il mondo è bello perché è vario.

Tralasciando i preamboli, mi chiamo Maddalena e nelle mie parole ci metterò del coraggio che non mi appartiene, ma viene da chissà dove.

Iniziamo.

Sono stufa, arrabbiata e offesa, non ci voglio credere. So che almeno una delle, mettiamo caso, cinquanta persone che leggeranno, crede che professare una religione in modo aperto sia strano.

Che brutta la parola strano, se qualcuno la utilizza in un contesto che ti appartiene la conseguenza è quella di sentirti isolato dagli altri, diverso, come se fossi un alieno con tre occhi e mangiassi rocce lunari invece che cibo terrestre.

Ma dico, ti sembro davvero un alieno?

Dico, ho per caso strane antenne che mi penzolano?

Oppure un ufo?

No? Allora zitto, strana sarà la tua faccia mentre leggi queste parole.

E se ti sei sentito chiamato in causa, beh, fatti una domanda. E se per caso ti avessi offeso in qualche modo, nonostante le ultime righe siano innocentemente ironiche, ti chiedo scusa.

Ecco, ritornando al punto di partenza, io credo che se uno crede, nessuno, credenza uguale o contraria che sia, ha il diritto di imporre un culto diverso, o addirittura di distruggerlo! Io, cristiana, non andrei mai dalla mia amica Marangiuliotta a dirle “Oh, sei *religionecasuale!? Devi assolutamente convertirti al cristianesimo!”

Imporre è la parola più sbagliata da associare alla fede, secondo me, (ribadisco che questi sono solamente i miei pensieri che voglio condividere con chi vuole ascoltare) perché la religione è da vivere con piacere, se l’amore verso qualcosa o qualcuno è dettato dall’altro in modo opprimente non verrà mai vissuto nel migliore dei modi.

Io tifoso del Milan, non posso andare da un Interista a dirgli di tifare per la mia squadra, sarebbe sbagliato, oltre al fatto che scatenerebbe litigi infiniti tra i più appassionati, e questo perché? Perché hanno una fede calcistica! Perché creare disarmonia quando si potrebbe vedere una partita in santa pace?

E, nella mia breve esperienza di vita, se un tifoso della Roma viene insultato da un Laziale per la squadra che tifa, si sente ferito nell’orgoglio.

Ora, non so quanto possa funzionare come esempio, però è il più semplice che mi sia venuto in mente, e semmai avesse il senso che voglio passare… allora perché insultare apertamente un religioso, eh? Ora me lo spieghi, perché fa parte di quella vastità di cose che non capisco.

Non ho mai visto un tifoso che, uscendo dallo stadio, viene insultato da una suora, ma allora perché tu, simpaticone, quando vedi un fedele uscire dalla sua Chiesa, Tempio, Moschea (ecc..), lo guardi storto e magari ci ridi pure sopra, scoprendo che è un tuo compagno o collega, vorrei sapere cosa c’è di così divertente.

Abbiamo qualcosa in faccia?

Eppure tu per i matrimoni, comunioni e quant’altro ci entri in chiesa, eh? Incoerente! Se vuoi fare l’ateo o l’agnostico, almeno fallo bene.

Vorrei che ci fosse solo un po’ più di rispetto, tutto qui.

Ci vuole coraggio a entrare in un luogo di culto senza paura del giudizio altrui, e la trovo una cosa inaccettabile, perché io sto donando parte della mia vita d una cosa che tu discrimini senza mai averla toccata davvero, perché tu, lettore, se sei di una qualunque religione sai perfettamente di cosa sto parlando.

Di questo continuo scambio d’amore che si sente in maniera così forte, così grande nelle nostre vite, che “deve” necessariamente essere smorzato da chi non vuole capire quanto sia importante.

Sino ad ora sono stata abbastanza ironica, perché volevo affrontare questo argomento con leggerezza, visto che non sono nessuno per poter fare discorsi di grande riguardo.

Ma spero di essere arrivata al punto, di mostrare più rispetto per chi ha il coraggio di dire con fermezza “Sì, io credo!”, a prescindere dalla religione in sé. Per lasciar poi spazio ai timidi di cuore che non sanno come dirlo al prossimo, che si ritrovano a doversi quasi nascondere, perché nasce in loro un senso di vergogna!

Siamo nel 2017 e chi cerca la propria salvezza in un qualcosa che non è possibile toccare è una persona strana, perché non è conforme alla maggior parte della gente, ma io non sono te, e tu non sei me(e per fortuna!).  Con questo non voglio dire che il fedele è perfetto ed ha tipo una sfera protettiva che lo rende immune ad ogni genere d’accusa. Siamo tutti umani, ma proprio per questo nessuno si può permettere di giudicare l’altro.

Parlo un po’ a tutti, perché ogni persona nel mondo ha contribuito a scatenare questi problemi, anche a chi si sente perfetto sotto questo punto di vista, perché tutti facciamo delle gaffe, io in primis, mi metto al primo posto nella graduatoria delle persone che sbagliano di più mondo, e persino questo può risultare un atto di superbia, vedi un po’ come gira il mondo.

Ma tu devi essere più forte, e anche tu devi contribuire.

Perché tu sei importante.

 

Nel breve congedo qui di seguito, intendo ringraziare chi ha letto fino a questo punto e di accettare nuovamente le mie scuse per eventuali frasi apparentemente sconvenienti, e una stretta di mano a chi ha una credenza e non ne ha paura.

Sei tu il mio raggio di luna

Lasciami qui

ma restami vicino

che è dura svegliarsi al mattino

quando il sole si accende

e la morte fa paura

sei il mio raggio di luna

e guardami

sono nuda

sotto ai miei vestiti scuri

ci sono mille emozioni

sbiadite dal vento

ma tu dipingi

dove tutto è coperto

e metti al riparo

i sogni idealistici

sotto un’ipotetica armatura

mi culli la notte

quando il ringhio fa paura

quindi lasciami qui

ma resta mi vicino

che è dura svegliarsi al mattino

quando il sole si accende

e la morte fa paura

sei tu il mio raggio di luna

La vita NON è un GIOCO.

La vita non è un gioco.

E la violenza, nell’accezione comune, è quella sia visibile, con comportamenti di abuso (sia sessuale che non) nei confronti di una persona, che lasciano molto spesso conseguenze, ovvero segni di sfregio che testimoniano queste azioni; sia quella nascosta, talmente timida che non si riesce quasi mai a parlarne, che mira a denigrare l’altra persona e il suo modo di essere, tramite atteggiamenti e discorsi subdoli che rendono la vittima talmente impotente da sottometterla con tranquillità ( ho preso spunto da 1&2).

Questo preambolo, che ho cercato di rendere il più oggettivo possibile, mi è servito per introdurre una cosa a cui tengo molto: cosa pensiamo noi adolescenti quando ci troviamo davanti la parola “violenza”, e alcuni dei miei coetanei hanno rilasciato una dichiarazione, qui riportata:

 

“Non so il perché, ma mi è venuto in mente un uomo che da uno schiaffo a una donna, e penso che sia la cosa più disumana che possa esistere al mondo. È distruggere completamente una persona, renderla succube, cupa, triste. La violenza è inaccettabile, che sia su un uomo, una donna, un bambino o un animale, ed è terribile in tutte le sue forme.”

–Vanessa Pitotti

 

“La violenza è una forma di oltraggio nei confronti dei diritti dell’uomo, e penso che sia una tra le peggiori forme di degrado verso l’umanità. La mia domanda più frequente è perché ci sono persone che pensano di poter usare gli altri a loro piacimento per raggiungere scopi personali: non è vero che “il fine giustifica i mezzi”, a maggior ragione se le vittime non hanno scelta.”

–Cristina Rossi

 

“Appena hai detto violenza ho pensato a quella domestica, perché sono parole che sono spesso, purtroppo, collegate tra loro, soprattutto nell’ultimo periodo, ed è una cosa terribile: non è possibile che nel 2017 si senta ancora parlare di violenza, intesa sia come domestica, che sulle donne che sui bambini.”

–Valentina Mattogno

 

“Penso alla cattiveria di un soggetto che si permette anche solo di pensare a toccare o sfiorare il corpo di un altro con l’obiettivo di fargli del male. La violenza non deve esistere perché io sono una persona libera e come tale sono libera di dire, fare e pensare ciò che voglio: nessuno ti deve fare del male perché la tua persona è intoccabile dal momento in cui metti piede a questo mondo.”

–Aurora Santucci

 

“La violenza non è necessaria, picchiare una persona, infliggersi dolore da soli, lividi, ferite: sofferenza! Credo fermamente che ci siano altri modi per risolvere certi problemi che vanno a scaturire in questo abominio, le parole soprattutto, aiutano!”

–Lorenzo Leuratti

 

Ed ora inserisco anche il mio di parere: ho assistito (e partecipato con il flash mob) allo spettacolo “Ora puoi dire NO”, al teatro Flavio Vespasiano di Rieti, e mi ha aperto la mente su un argomento che non ho mai approfondito: la violenza sulle donne. Quella di cui voglio parlare è più generica, per ogni genere di persona, a prescindere dal sesso e dall’età. Per me violenza vuol dire “sfregio della bellezza”.

Io sono bella, a modo mio, tu sei bello a modo tuo, la persona che ti sta accanto lo è a modo suo. E se mi tocchi, “corrodi”non solo il mio aspetto, ma anche la mia psiche, e la domanda che devo farmi non è tanto “perché mi fai questo?”, ma “perché lo devo subire?”.

Tu che mi fai del male, sei un narcisista, un sadico, un vigliacco. E non intendo neanche perder tempo a parlare di te, quanto di me! Me che sono in grado di allontanarti, me che sono in grado di denunciarti, me che sono forte, me che mi amo più di ogni cosa: me che sono in grado di dire no.

Questo è il momento dove le paure delle persone che sono vittima di violenza devono crollare, perché le minacce non valgono nulla, il dolore non se ne va via da solo, e tu sei bella, così bella che soffro anche io guardandoti cadere, perché non ti conosco e non posso farci niente. Prendi in mano le redini della tua vita e sconfiggi quei lividi, ti prego.

Non mentire per paura e poi non piangere quando sei sola dentro il letto e le lenzuola si bagnano e il cuore si spezza: TU sei bella anche così, sei forte anche così, lo sei sempre stata, e per questo non arrenderti, non dimenticare la tua dignità così che la vita si prenda gioco di te, perché la vita non è un gioco.

 

 

 

 

 

MA È UN DONO, HAI IL DIRITTO DI VIVERLA.

Mi sono innamorata bevendo un caffè

Non mi ricordo il giorno e l’ora, stavamo solo bevendo un caffè.

C’era il sole, e la mia pelle troppo sensibile chiedeva pietà, perché stavamo da tempo immemore nello stesso tavolino fuori dal bar, con quell’ordinazione che oramai è diventata scontata per tutti i camerieri. Stavamo parlando, di questo ne sono certa, perché è stato per una mia battuta, forse un po’ triste, che mi hai sorriso, e avevi gli occhi socchiusi, tipici di quando sei felice, e felice per davvero.

Vedevo poco e niente, gli occhiali appannati per il vapore del caffè, e l’unico spazio in cui filtrava la luce mi bruciava le retine. E ti ho sentito ridere.

Sono sdolcinata e me ne vergogno pubblicamente, perché per una ragazzina provare certi sentimenti è sia normale che straordinario, perché fondamentalmente sono piccola, e che ne so io dell’amore, io che fino ai sedici anni non ho mai avuto alcuna esperienza di questo sentimento tanto semplice quanto confuso da spiegare.

Non so come spiegare, ma qualcosa dentro di me è scattato, come se un pezzetto di me si fosse attaccato a un pezzetto di te, come se ci fosse sempre stata una calamita timida, che solo in quel momento ha preso coraggio per buttarsi, e legarsi, e ho paura.

Da quel poco che ne so, da quello che vedo tra mio padre e mia madre, l’amore ti prende e ti porta con se in un vortice turbolento, tra litigi e impulsi d’affetto, e per come sono fatta, te lo dico, anche se credo che tu te ne sia accorto, sono una lunatica infelice.

Non mi va mai bene nulla, passo dalla felicità alla tristezza in così poco tempo che posso far venire il mal di testa a chi mi sta accanto, spesso sono rozza e maldestra, faccio talmente tante figuracce che le stesse hanno fatto di me un personaggio paradossale, perché parlo di maturità come se sapessi sempre tutto, ma dimostro un animo così immaturo e incoerente da far spavento.

Eppure, in quel momento io non ero più nulla di queste cose, mi sono sentita nuda e fragile per qualche secondo, ma non ho cercato di coprirmi, e non sapevo rispondermi, sapevo solo che mi stavo innamorando.

A distanza di sei mesi (che, ti dirò, sembra tanto tempo, ma alla fine sono solo 185 giorni), ti svelo questa verità: non mi so rispondere neanche adesso. Non ho spiegazioni, non ho motivazioni valide per quanto è avvenuto.

Era inizio settembre, faceva caldo, e stavo bevendo un caffè, con la tua risata in sottofondo… e in questo caso le spiegazioni non servono.

Assenze.

Il ticchettìo dell’orologio è opprimente, soprattutto per lei che non è mai stata una donna organizzata, se non  per le cose essenziali e più importanti (ma, in fondo, neanche per quelle).

Il tempo passa ma le assenze restano, e con esse i ricordi.

Ci sono cose di lei che continuerò a ricordarmi per sempre, un po’ perché erano inusuali, un po’ perché riguardano l’unica persona che è entrata nella mia vita come spettatrice, ma mi ha conosciuta nel profondo, senza troppe domande.

Mi chiedo spesso come facesse, con quale coraggio e voglia sia stata capace di leggermi così a fondo, senza vergogna e senza un motivo preciso.

E oggi vorrei essere come lei, così arrogante e sfacciata, così spensierata e felice di ciò che aveva.

Se avessi saputo, le avrei detto – sin da quando l’ho capito – che lei, per me, è stata più di una semplice conoscente, ma un insegnante di vita.

Mi ha colpito nel profondo, mi ha insegnato a mostrarmi per quella che sono senza paure, ad accettare un insulto senza troppe paranoie, e a sentirmi bella nonostante le mie insicurezze: non che ne avessimo mai parlato direttamente, queste sono cose che ho appreso giorno per giorno, ed ora che quei giorni non ci sono più, mi trema un po’ il cuore.

Spero che lei, ovunque sia, mi veda quando viene fuori il suo nome durante una discussione, che si ricordi di me, una tra le tantissime, che le ha voluto un bene così grande, seppur non sia riuscita a dimostrarlo. Ogni persona ha un ricordo preciso di lei, tramite una foto, un momento particolare, un gesto che ha li ha segnati: io no.

Non riesco ad immaginarla in un ambito preciso, tanti sono i ricordi di lei.

La più dolce e la più forte è il suo volto stanco dopo aver fatto quelle dannate scale, mentre dondolava su quei tacchi osceni, e reggeva quella borsa rossa con le squame di non so quale animale, tutta rotta, ma che non voleva cambiare.

Chissà, magari la ha anche adesso, magari ora sta correndo da qualche parte, magari sta dando altri mille consigli sulla vita a qualcun altro, seduta su una sedia tremolante. Ora come ora ho solo una certezza: la sua assenza è presente nella mia quotidianità.

Mi mancano i suoi calzini di colori diversi, i suoi leggins assurdi, i suoi capelli mai pettinati, il trucco messo male, la “coda del profumo” che ogni volta cambiava, i suoi racconti strani, i suoi ricordi di una vita vissuta a pieno, il suo sorriso raro ma sincero.

Ma le sue parole piene di orgoglio quasi materno, sono la cosa che mi manca di più.

Non so se è normale starci ancora male, non essendo sua parente,o amica, o persona stretta. So solo che quando parlano di lei mi manca il fiato, e le lacrime scendono a goccia come se ci fosse una tubatura rotta.

Adesso guardo in alto e spero solo che stia bene.

Spero che sappia che il rumore dei suoi tacchi è il suono più malinconico e dolce che mi rimbomba in testa.

 

(UN RINGRAZIAMENTO A FRANCESCO LEURATTI PER LA FOTO MESSA COME SFONDO, SCATTATA E MODIFICATA DA LUI)

C’è spazio per altro dolore?

 

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Non ci si abitua mai al terrore che si prova ogni volta che persino una base solida e concreta come la terra sotto i nostri piedi inizia a tremare: il terremoto è una cosa che non ci si può aspettare, e stare allerta ventiquattro ore su ventiquattro non ti lascia respirare.

Il 18 gennaio 2017 ci ha fatto vivere una mattinata movimentata, che, personalmente, mi ha fatto risvegliare quella paura che credevo ormai sepolta, speravo che fosse finita, ma le “sorprese” non finiscono mai.

Durante la prima scossa ero a scuola, erano le 10.25 circa, e con tutta la classe stavamo svolgendo la solita routine, se così possiamo chiamarla, durante il cambio dell’ora, in quei preziosi 5 minuti senza professoressa, eravamo immerse in mille faccende frettolose: chi raccontava gli avvenimenti delle giornate precedenti, chi parlava delle solite scemenze, chi ripassava matematica e fisica per l’interrogazione e chi cercava di svegliarsi con il classico cappuccino-acqua sporca.

Ho visto la faccia di V., che fino a poco prima era più che rilassata, se non addirittura in dormiveglia, trasformarsi in un volto non preoccupato, quanto sorpreso, ed è uscita dalla classe assieme ad altre tre persone, ripetendo costantemente la parola “terremoto”.

Ciò ha creato un putiferio, gente che si alzava, gente che rimaneva seduta bloccando il passaggio ad altri, zaini rimasti sulle sedie e cose rimaste a terra. Non ci siamo messi sotto al banco, perché ormai la scossa era finita, e il fatto che la professoressa non fosse ancora arrivati ci ha solo che disorientati ancor di più.

La campanella avrebbe dovuto segnalare l’evacuazione è stata suonata troppo tardi, vedevamo che dalle scale già alcune ragazze stavano scendendo, e del nostro piano la nostra classe è stata la prima a uscire, anche se camminare a passo sostenuto e correre sulle scale antincendio le ha fatte tremare, scatenando ancor più terrore per chi era già scoppiato in lacrime.

E la mattinata è andata avanti così, tra le chiamate ai genitori e i fatidici zaini che teoricamente non avremmo potuto recuperare, ma che praticamente abbiamo preso facendo salire quattro persone.

Ma alla fine ognuno è tornato a casa, chi ancora tra le lacrime e chi si è tenuto la paura ancora viva dentro di sé, tutti tranne me.

Non ho avuto paura, ma da brava egoista quale sono nella maggior parte dei casi, se non per i miei piccoli sprazzi di bontà verso gli altri, questa volta ho pensato solo a me, rimanendo inizialmente scioccata dalla reazione di alcune amiche e compagne, e so di poter risultare incoerente se fino ad ora ho parlato di quanto sia stata devastante questa mattinata, e solo ora confesso di non averla vissuta nel terrore, il fatto è che quello per me è arrivato dopo, e dopo ha iniziato a quadrare tutto.

Mi sono spaventata alla terza scossa, quando ho sentito mia madre al cellulare, una delle donne più forti che io conosca, impaurita. E lì ho pensato a lei, alle mie sorelle, a papà, ai miei amici più cari e alle persone a cui tengo maggiormente… e mi è mancato il respiro per tutta la durata di quella maledetta scossa.

C’è ancora tanta superficialità nell’affrontare il terremoto, credo che, almeno per i ragazzi, non si riesca a concepire la gravità della situazione fino a quando non la senti viva, fino a quando non prendi i considerazione seriamente le possibili conseguenze, e vorrei che ci fosse più informazione e consapevolezza. Anche se, dopo oggi, credo che un po’ tutti hanno sofferto questa calamità.

Ora io mi chiedo, se noi che riceviamo solo poco della vera scossa, e viviamo così la situazione, come possono stare le persone che lo vivono in prima persona, soprattutto Amatrice, dopo tutto quello che ha passato, nei cuori della gente c’è spazio per altro dolore?

Nonostante il peso dell’anima

Foto di Rachele Gentile

Ho ritrovato

In un anno di fanghiglia

Pieno di cenere

Che mi ha bruciata

Il petto

E ciò che ne restava

Uno spiraglio

Di rivoluzione

Che è andato oltre

Alle mille morti

E alle mie paure

Di poter vivere

Nonostante il peso

Dell’anima

Che ora

Ormai

Ha lo stesso peso

Del mio cuore

Che ritorna a battere

Quando mi

Sfiori

La mano

Mentre mi porti

In un posto qualunque

D’altronde 

Ovunque

È altrove

Se sono con te

E con la tua forza

Che mi sostiene

E non mi fa cadere

Da un dirupo

Dove mi trovavo

Ogni secondo

Ed era luogo di terrore

Ed ora è luogo perfetto

Dove fermarci

A guardare le stelle

Dedicato a chi sa di meritarselo.

BUON ANNO!

Natale versione 2016

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Una coscienza pulita e’ un Natale perenne.
Benjamin Franklin

Basta cazzate. So che è brutto iniziare così un discorso, soprattutto in questo periodo, dove la bontà e la gentilezza dovrebbero predominare.

Il Natale ha questa finta tradizione che rende l’uomo un supereroe della perfezione: scherzi in famiglia, risate, regali, abbracci e sorrisi sinceri a parenti che si fanno vivi una volta all’anno solo per mostrarti il loro nuovo zigomo rifatto che li fa sembrare più giovani di cinque anni.

E questa fantomatica bontà, secondo i soliti perbenisti (onde evitare ogni malinteso, ecco la definizione precisa del termine, offerta dal vocabolario online TRECCANI, “con connotazione polemica, modo di comportarsi di chi vuole apparire persona perbene, seguendo con qualche ostentazione le norme della morale comune o uniformandosi a quelle della classe sociale dominante”), non deve palesarsi solo in questo breve lasso di tempo, ma in tutti i periodi dell’anno!

Rendiamoci conto …

Quest’anno vivremo il “Natale versione 2016”, un espansione orribile ad un gioco bellissimo, per intenderci, come quelli che si trovano ammucchiati all’ingresso di Game Stop con la scritta “PREZZO SPECIALE! 5,99!”. Aspettate, vi sto probabilmente mandando in confusione, il fatto è che in questa versione, si vive di puro e malefico egoismo!

No, tu che stai leggendo e magari non sei così, non ti sentire interpellato, a meno che non ti dia noia invitare personalmente tutti i parenti e ospitarli nella tua casa, o passare una giornata intera dentro un centro commerciale con il solo scopo di fare regali e nessuno per te stesso, o persino giocare a tombola senza pensare minimamente ad un piccolo compenso per te stesso.

Perché il natale ormai è caratterizzato dall’egoismo, sullo stare a tavola con il cellulare tra le mani, sullo scartare regali: ormai non ha più valore il cuore che si ha nel farli, ma solo la quantità e il valore degli stessi.

La “bontà” che ci pervade a Natale è una gigantesca ipocrisia, perché (nella maggior parte dei casi) si diventa sempre più avidi.

La richiesta che voglio fare a chi legge queste poche righe (piene di “spirito natalizio”), è quella di prendere in mano le coscienze e di scrutarle a fondo.

Ricordo, da bambina, quanto mi divertivo a giocare a carte con i miei … sbagliavo perennemente tutto e poi ci ridevo su. Ora voglio un cuore più umile, e grato per ciò che ho. Perché ho una casa, una famiglia, tanto amore e tanti amici. Mi duole ammettere che lo stile di questo articolo è cambiato totalmente solo dopo essere stata a messa, la notte del ventiquattro, dove distinguevo perfettamente la gente che era lì perché costretta, perché è “tradizione”, e la gente che si è fatta piccola e si è messa ad ascoltare, ed io lì facevo parte del primo gruppo.

E no, non mi sono piaciuta affatto.

Ma nonostante ciò non mi voglio rassegnare, non voglio che per me questo sia un “Natale versione 2016”, voglio augurarvi tanti auguri dal profondo del cuore, a tutti i miei lettori, a tutta la gente che, come me, vuole cambiare la sorte di questi periodi così belli, e renderli spettacolari.

Buon Natale.

Il mondo ha bisogno di poesia.

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Foto di Asia Aleandri

Il mondo ha bisogno di poesia.

Mi guardo attorno e vedo solo tanta tristezza, contornata qua e là da spazi luminosi (come quando vedi il sole che, prepotente, si infiltra tra i buchi delle nuvole, diventando il protagonista di uno spettacolo mozzafiato che brucia gli occhi), che sono le piccole felicità della gente che ha imparato ad apprezzare, e a creare.

E cos’ha bisogno il mondo di oggi se non di creazione, la parola dalla quale è nato il concetto di poesia? Ma la stessa non è altro che la spinta a creare, e forse con questa parola mi sto ripetendo troppo spesso, ma il concetto è qualcosa di profondo, di magico e perfetto.

Sarebbe da incorniciarlo, per rendersi conto di ciò che si ha davanti quando si parla di grandi autori, di pura poesia, di quest’arte che manca un po’ a tutti, eppure sarebbe pratica per la rivoluzione.

Ci sarebbe bisogno di un testo/manifesto, che spinga a lottare, a pensare liberamente a riscattarsi. La poesia è l’arma (talmente perfetta da non infliggere dolore, eppure ti colpisce nel profondo), ma il fine quale può essere?

Da adolescente amante della scrittura, posso dire che solo chi sa dipingere il ritratto interno di una persona con solo carta e penna, sa come cambiare il futuro di tutti coloro che sanno immedesimarsi nel suo scritto.

Ebbene, allora chiunque sta male, e vuole cambiare la rotta della sua vita, scriva. Scriva e ciò che lo fa star bene, che vuole essere felice, perché siamo tutti capaci di dire la nostra, di far diventare un orizzonte luminoso un cielo limpido, con le nostre stesse mani, e con la propria testa.

Per la gioia del mondo, per la creazione di un nuovo mondo, impariamo ad apprezzare lo sforzo dello scrittore che si leva ogni maschera e scrive a viso vuoto, immedesimiamoci nella sua passione, e diventiamo ciò che ci procuri la libertà.

Il Senso del Nulla

Se è vero che la musica,

la apprezzi veramente

solo quando diventi sordo.

E la vera libertà

la senti dentro la gabbia,

isolato dal mondo

nella più buia prigione.

Allora è vero che il male

lo senti quando fai il bene,

e vivi il rumore del mare

solo nella più alta montagna.

Sì, è vero che l’amore

lo capiamo stando soli,

quando il cuore ci batte

e lo senti per chi sai te.

È vera allora la forza

che sentiamo solo da stanchi

e che la luce la vedo solo

nel riflesso dei tuoi occhi.

-Lorenzo Tomassini

Ringrazio di cuore chi ha letto il tutto fino alla fine, e Lorenzo, con la sua meravigliosa poesia, e che mi ha aiutata a scrivere, dandomi l’ispirazione con un piacevole messaggio inaspettato.