A chi mi ha aiutata ad essere felice.

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Ho imparato cosa voleva dire affezionarsi di nuovo a qualcuno come fanno i bambini per i primi passi.

Le delusioni erano state troppe ed ero stanziata in un luogo scuro, a testa china, senza riuscire a vedere alcun spiraglio di luce. Cosa farò, che senso ha provare ad alzarsi se poi cadrò ancora più a fondo?

Ma poi tutto ad un tratto ho capito cosa c’era in palio, e che quella di vivere dentro un guscio era una cosa ridicola, sia per chi mi voleva bene sia per me stessa, e soffrire dentro la mia paura più grande, il buio, non era una cosa coerente.

Alzai lo sguardo e vidi una crepa, poi due, la luce entrò e vidi che non ero sola. Accanto a me steso l’amico di una vita, che in silenzio era sempre rimasto a sussurrarmi che non dovevo stare lì.

E quando mi resi conto che le mie paranoie avevano offuscato per tanto tempo quel meraviglioso gesto d’amore, capii che volevo uscire. Guardavo in alto e le crepe diventarono fessure sempre più grandi, fino a diventare buchi giganteschi, e venni sommersa da una luce nuova, e c’erano delle mani che mi volevano afferrare.

Avevo quel perfetto mix tra paura e coraggio che bisogna cogliere al volo, perché passa una volta e poi corre via, e mentre chi era sempre stato accanto a me mi spingeva verso l’alto, mi aggrappai con tutta la mia forza a quelle mani.

Passò un lasso di tempo abbastanza lungo, ma nella mia mente tutto accadde in un millesimo di secondo, ed ero salva da tutto quello che mi aveva fatto del male.

Ho imparato cosa voleva dire affezionarsi di nuovo a qualcuno come fanno i bambini per i primi passi.

Iniziai barcollando, con alcuni occhi sbarrati che mi controllavano e mi sorreggevano quando tentennavo troppo a lungo.

Passò un po’ di tempo ed iniziai a camminare accanto alle persone che mi avevano salvato, e forse mi sentivo a disagio, ma non lo davo a vedere. Eppure nei momenti di sconforto mi sono sempre sentita presa sottobraccio.

Ed ora posso dire a gran voce che ricominciare ad essere felice dopo un grande colpo è un passo che compiamo tutti durante l’adolescenza, ed è uno dei più belli, soprattutto perché ti fa vedere chi ti vuole bene realmente, e a chi vuoi realmente bene tu, anche se, come me, dimostrarlo è diventato difficile.

Eppure mi è doveroso ricordarlo ogni tanto, a queste persone alle quali devo tutto, grazie di essere qui, in un posto che è ,più o meno, al centro del mio universo.

 

Dedicato a chi mi ha aiutata ad essere felice.

MUSICA

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Foto di Giorgia Rinaldi

Cos’è l’arte? Nel suo significato più generico comprende ogni attività umana che, attraverso la creatività e la fantasia, porta a forme di espressione in grado di trasmettere emozioni e messaggi personali, ovvero è l’espressione estetica dell’interiorità umana.

Ma la vera bellezza dell’arte è che può essere interpretata diversamente da tutti gli occhi, e come la si può vedere nel teatro, nelle sculture, nei dipinti e nell’architettura; la si può vedere e vivere anche nella musica che, seppur inconsciamente, è continuamente presente nella nostra vita.

La musica per me è fondamentale, non solo perché è più immediata, ma anche perché è alla portata di tutti: non bisogna essere necessariamente esperti, suonare uno strumento o saper cantare per poter apprezzare a pieno quest’arte. Un bambino ed un anziano possono ascoltare il medesimo tipo di musica ed apprezzarla allo stesso modo e allo stesso tempo darle interpretazioni completamente diverse.

Perché è bellissimo farsi trascinare dalla melodia, una stanza si riempie di emozioni che cullano chiunque vi entri in contatto; e quando si è con amici e, con fare annoiato, si accende quell’mp3, si accende qualcosa anche dentro di noi, dentro tutti, e nascono sorrisi splendidi, che danzano, danzano su tutte le note.

Tra le sue mille sfaccettature c’è anche un rifugio per chiunque ne abbia bisogno. Un luogo sicuro in cui abbandonarsi alle proprie paure e debolezze e nonostante tutto sentirsi bene e in pace con se stessi. Un luogo dove non devi temere il giudizio di nessuno: sei solo tu e la musica.

E la musica diventa una persona, capace di farti riaffiorare ogni genere di ricordo senza ucciderti, solo scalfendo quella crepa che hai nel cuore, che si riempie di forza, e di vita.

Perché, quest’arte, la maggior parte delle volte, viene presa come sfogo, come hobby ma che può diventare anche il sogno di chi vuole esprimere le proprie emozioni, per raccontare a tutti quella parte di se che si tiene nascosta.

E anche quando ci troviamo in bilico, tra stupore e insoddisfazione, quando non sappiamo cosa fare e vorremmo mollare tutto, c’è una voce dentro ognuno di noi che urla “posso farcela”, e la musica ti dà quella spinta necessaria per risalire dal fondo.

Scritto a “quattro-mani” con Giorgia Rinaldi.

Grazie mille per l’aiuto e l’affetto che mi dai ogni giorno, Collega.

Il concetto d’Amore

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Foto di Maria Luisa Ciavatta

Mi è stato chiesto spesso di definire la parola “amore”, sia da amiche perse in crisi adolescenziali, sia da me stessa, in quelle notti interminabili dove il soffitto diventa un foglio su cui disegnare. Non credo esista, e se c’è mi rifiuto di considerarlo corretto, un modo generico di descrivere questa parola

Ogni descrizione può essere frivola, anche le citazioni dei più grandi scrittori diventano fragili quando ti ci metti a pensare, perché è una sensazione più grande di te, talmente immensa che ti senti piccolo e impossibilitato a raggiungerla…

Eppure c’è: c’è nel bacio che mi da mio padre la notte quando crede che io stia dormendo, e appena esce dalla stanza mi gratto nel punto in cui i suoi baffi ispidi mi hanno toccata, sorridendo silenziosamente. Lo vedo nello sguardo orgoglioso e duro di mia madre quando faccio qualcosa di buono, nei suoi “ti voglio bene” pronunciati di rado. Lo vedo nei miei amici che corrono sotto la pioggia senza ombrello quando gli dico che ho bisogno di conforto, portandomi anche quella bomba alla crema che mi piace tanto. Lo vedo dagli abbracci dati, seppur in fretta. Da quella notte passata a compiangermi sotto le stelle con un perfetto sconosciuto, che nonostante il freddo è rimasto a darmi conforto e imbarazzate (quanto tenere) pacche sulla spalla fino alle tre senza rientrare in hotel.

E sono giunta alla conclusione che questo sentimento non è spiegabile, è solo da vivere, si fa concreto nelle dimostrazioni pratiche, non nelle parole che si perdono in quest’aria gelida. Quindi l’Amore, quello con la A maiuscola, è un dato di fatto.

E per tutte le nuove generazioni, non è rimanere online su Whats App fino alle 3 di notte a ripetersi la solita sequenza di “Ti amo, amore mio”, per poi arrabbiarsi se uno va a dormire alle 23.54 invece che alle 23.53. Non è uno scambio di dediche chilometriche su Instagram, non è una foto mentre vi baciate con l’effetto del cane su Snapchat, non è un tweet con una frase spinta che indica la vostra relazione su Twitter, non è una frase smielata su Ask in risposta ad una domanda che chiede di tutto tranne che di voi, non è una live su Periscope dove vi baciate tutto il tempo, non è uno stato di Facebook.

L’amore, ma quello vero, non è un social.

Perché è quello che sta diventando, una cosa scontata, persone che spendono la maggior parte del loro tempo a pubblicare miriadi di cose, per far vedere che sono felici, sperando che gli altri impostino come reazione un cuoricino.

E ci si dimentica di guardarsi negli occhi, di dare un bacio, di fare una carezza, di stringersi le mani, in segreto, custodendo il tutto nei ricordi, nelle proprie menti, dando valore a questi gesti, migliori di qualunque social network.

Perché c’è chi non riesce ad uscirne, ed è SOLO.

 

Non ho mai creduto che tutto potesse finire così, e ripenso alla “me bambina” che guardavo il film dei Pokemon sul lettone dei miei, quando lo sentii tremare, e restai ferma qualche secondo.

In quell’arco minuscolo di tempo una casa stava crollando all’Aquila, qualche bambino aveva iniziato a piangere, o qualcuno che aveva già perso tutto, dimenticò per un attimo di respirare.

E ora mi immagino la triste scena, di una bambina che gioca all’aperto, saltando qua e là, sulle stesse pozzanghere che i genitori le avevano intimato di non pestare, eppure va. E durante un suo balzo crolla una città.

Eppure la bambina non smette di saltare, e tutto intorno a lei continua a muoversi, eppure c’è un silenzio assordante. Lo stesso silenzio della notte che la gente ha passato in macchina, per le strade, animato solo dai sussurri della radio che parlava degli ultimi avvenimenti.

Per paura o perché si ha perso il tetto, siamo tutti costretti a guardare lo stesso cielo. E c’è qualcuno che soffre, che ammira la tua stessa stella, e chiede aiuto.

E quando la terra inizia a scuotersi, mentre cerca di ribellarsi a qualcosa che non riesce a spiegarci, crea dolore e terrore, ci fa battere il cuore al ritmo dei passi sulle scale della gente che trema.

E qui muore ognuno di noi, e dà la colpa a Dio, ma basti pensare che nello stesso tempo egli permette a persone malvagie di compiere opere malvagie, e con quale superbia la grandezza di Dio può essere concepita dalle nostre piccole menti? E poi, caro Dio, magari questo dolore un giorno me lo spiegherai.

Poi ognuno la pensa come vuole, perché siamo diversi, siamo umani.

Tutti corriamo verso lo stesso destino, chi senza aspirazioni e chi vuole arrivare in paradiso. Ma adesso bisogna stare fermi, e respirare, e poi fare come la bambina che salta nelle pozzanghere.

Vivere ormai è diventato scontato, e per alcuni persino futile. Ma la vita è preziosa, e non è scontato come sembra.

Mentre la sofferenza ci corrode pensiamo che la felicità sia lontana da noi, ma ci cerca, disperatamente, ci rincorre tra le vie più buie. Ma noi corriamo, corriamo come ossessi, sperando di fuggire dal dolore percorrendo la stessa strada, non capendo che basta fermarsi e darsi coraggio.

Cambiare direzione, puntare in alto, respirare a pieni polmoni e poi dirsi che è giunto il momento di ricominciare.

Ricominciare a sorridere, e concedere la gioia anche agli stessi che vivevano con te nel tunnel, che neanche hai guardato, ma erano lì, e non si fermano.

Perché c’è chi non riesce ad uscirne, chi è diventato succube del proprio pianto, ed è solo.

L’uomo ha bisogno d’aiuto, e tu sii abbastanza uomo da tendere la mano.